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LA RACCOLTA DI MANIFESTI DELLA CASA PER LA PACE ‘LA FILANDA’ DI CASALECCHIO DI RENO SI ARRICCHISCE DI UN NUOVO FONDO.

In occasione della mostra di manifesti “Religioni per la Pace” allestita a Tolè di Vergato (Bologna) nell’agosto 2020, Alessandra L’Abate, figlia del fiorentino prof. Alberto (deceduto nel 2017) e sua madre Anna Luisa Leonardi, interessate al tema della mostra, hanno donato alla Raccolta di manifesti della ‘Filanda’, curata dal CDMPI, molte decine di manifesti raccolti da Alberto nel corso degli anni.

Tra i manifesti donati una quarantina riguardano varie iniziative (conferenze, manifestazioni, …) in cui compare il nome di Alberto in qualità di protagonista o coprotagonista dell’iniziativa stessa.

È intenzione di Alessandra e Anna Luisa organizzare una mostra on-line di questi manifesti cui saranno aggiunti quelli, una decina, già presenti nella Raccolta. Il tutto a testimonianza dell’impegno di Alberto come studioso e, insieme, militante per la pace e la nonviolenza.

La notevole quantità e qualità di manifesti donati e il prestigio della persona che li ha raccolti e conservati hanno portato alla decisione di creare una nuova sezione all’interno della Raccolta: la sezione “N” del Fondo “Alberto L’Abate”.

Analogamente ad altre sezioni della Raccolta (A, B, C, H, I) anche la sezione ‘N’ è suddivisa in vari argomenti.

Vittorio Pallotti

Bologna, dicembre 2020

Finalmente è nata la pubblicazione a cura di Fiorella Manzini e Vittorio Pallotti "Le mostre di manifesti dal 1985 al 2020".

35 anni di mostre, documentate e raccolte in un elenco ragionato.
Presentazione dall'Introduzione degli autori

Questo lavoro nasce con il fine di poter disporre del quadro complessivo delle mostre di manifesti effettuate in Italia e all’estero dopo la “1a Mostra bolognese del Manifesto contro la guerra e la corsa agli armamenti, per l’educazione alla pace e alla nonviolenza” allestita a Bologna nel marzo 1985 a cura di quattro gruppi pacifisti bolognesi: Obiettori Fiscali (alle spese militari), Lega Obiettori di Coscienza, Gruppo Autonomo per il Volontariato Civile in Italia, Associazione “Antimilitarismo e Disobbedienza Nonviolenta”.

Alcuni mesi dopo venimmo a sapere che la mostra era la seconda del genere allestita in Italia, preceduta solo da un’analoga mostra allestita a Trento pochi mesi prima (fine 1984) dal gruppo di obiettori di coscienza in servizio civile presso il Comune di Trento; e terza in Europa dopo quella allestita nel 1984 a Stratford (Inghilterra) dal “Political Committee – Retail Services Ltd – London Region”.

Dopo un primo tentativo (2004-2005) di digitalizzare le schede di prestito dei manifesti dal 1985 in poi, il lavoro viene sospeso dopo qualche mese.
Nel 2019 l’associazione “Percorsi di pace” ci chiese l’elenco completo delle mostre di manifesti effettuate a Casalecchio di R. Da questa richiesta è scaturita l’idea di riprendere il lavoro di digitalizzazione delle schede di prestito dal supporto cartaceo a quello digitale su ‘foglio Excell’. Lavoro iniziato verso la fine di febbraio e terminato a fine aprile 2020.
Non è stato un lavoro semplice. Occorreva infatti digitalizzare tutti i dati contenuti nelle 256 schede di prestito secondo un preciso criterio e completarli, ove possibile, con altri dati recuperati da altre fonti (cartacee e digitali) oppure orali, dalla memoria di alcuni collaboratori del CDMPI: complessivamente, quasi 3000 informazioni. Ci sembra però che, alla fine, il tempo e la fatica impiegati ne valessero la pena.

Ringraziamo coloro che ci hanno aiutato nel recupero dei dati mancanti. Soprattutto, ringraziamo tutti coloro che hanno aiutato il CDMPI a raccogliere, restaurare, catalogare, archiviare e diffondere la conoscenza dei manifesti, contribuendo in tal modo a farli “leggere” come documenti dal valore storico e culturale per la creazione di una società pacifista nonviolenta.

Un ringraziamento particolare al... Coronavirus (il re dei virus, più prosaicamente chiamato ‘Covid19’) che, per il casino provocato e la conseguente segregazione in casa di tutti gli italiani nella scorsa primavera, ci ha consentito di iniziare e portare a compimento questo lavoro.

Fiorella Manzini e Vittorio Pallotti

 

Visualizza o scarica il Pdf   cdmpi-mostre-dal-1985

Quarta di copertina

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi, venerdì 15 maggio 2020, è la Giornata Internazionale per l'Obiezione di Coscienza al Servizio Militare e per l'occasione, con una breve premessa storica, vorrei fare alcune considerazioni.

La legge 23 agosto 2004, n.226 pose le basi per la trasformazione del servizio di leva da obbligatorio a facoltativo. Fino al 1972, anno di approvazione della legge istitutiva del Servizio Civile, il giovane che rifiutava di indossare la divisa veniva processato e incarcerato. Con la nuova legge, lo stesso giovane poteva, stilando una dichiarazione di obiezione di coscienza, svolgere un servizio civile obbligatorio e alternativo a quello militare.

A 32 anni di distanza, nel 2004, con la legge sopra citata sembrò a molti che l'obiezione di coscienza al servizio militare non avesse più ragione di esistere. In realtà così non poteva essere. Infatti, così recitava il titolo della nuova legge: "Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore". Quindi non 'abolizione' ma 'sospensione' del servizio di leva obbligatorio. E, come spesso faceva rilevare padre Angelo Cavagna, se le parole hanno un senso, 'sospensione' significava che il servizio militare obbligatorio può essere ripristinato in qualsiasi momento. Sì, ma in quali casi?

Lo specifica bene la legge del 14 novembre 2000, n.331, che, al comma 1, lettera 'f', dell'art. 2 (titolato "Personale militare da impiegare nella difesa nazionale") così recita "personale da reclutare su base obbligatoria, salvo quanto previsto dalla legge in materia di obiezione di coscienza, nel caso in cui il personale in servizio sia insufficiente e non sia possibile colmare le vacanze di organico mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi:

1) qualora sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'articolo 78 della Costituzione;

2) qualora una grave crisi internazionale nella quale l'Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifichi un aumento della consistenza numerica delle Forze armate".

Se, quindi, così stanno le cose sul piano giuridico, si può ancora pensare che l'obiezione di coscienza al servizio militare sia morta e sepolta? Chi può seriamente pensare che le condizioni previste dal citato art. 2 non abbiano più ragione di verificarsi? E se si verificano: quale significato avrebbe fare, solo in quel momento, una dichiarazione credibile ed efficace di obiezione di coscienza? E quale sarebbe la sorte dell'obiettore che si rifiutasse di imbracciare le armi? Non sarebbe molto più credibile ed efficace farla subito, prima che si verificasse la condizione di guerra?

Negli anni scorsi mi è capitato più volte, in varie occasioni, di intervenire sull'argomento invitando giovani e meno giovani a fare una dichiarazione preventiva di obiezione di coscienza. Ma, non avendo mai avuto riscontri in proposito, credo che ben pochi (per non dire nessuno) abbiano raccolto l'invito. Anche perché nessuna organizzazione (pacifista, antimilitarista o nonviolenta) ha ritenuto di adoperarsi in questo senso con campagne 'ad hoc', analogamente a quanto avvenuto, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, per il lancio delle Campagne di "Obiezione di Coscienza alle Spese Militari" e di "Restituzione del Foglio di congedo militare".

Vittorio Pallotti

Bologna, 15 maggio 2020

Questo manifesto del 1988 è stato realizzato dal Comune di Bologna in occasione del 43° anniversario della liberazione di Bologna.

Domina su tutto la figura di una giovane donna che porta sulla spalla una bandoliera colorata con i colori dell’arcobaleno: gli stessi della bandiera della pace. La figura fa parte di un gruppo di due statue in bronzo, a grandezza naturale, opera post-bellica del famoso scultore bolognese Luciano Minguzzi. L’altra statua, non riportata sul manifesto, rappresenta un giovane uomo partigiano che imbraccia un fucile. La colorazione della bandoliera è un’aggiunta grafica nel manifesto.

Una domanda viene spontanea: perché il Comune di Bologna ha deciso di colorare la bandoliera con i colori dell’arcobaleno? Una risposta ufficiale non esiste. Ne esiste solo una ufficiosa: la seguente. Nei mesi precedenti le celebrazioni del 25 Aprile 1988, alcuni esponenti del pacifismo nonviolento bolognese scrissero una lettera al sindaco di Bologna, Renzo Imbeni. Nella lettera si lamentava il fatto che quel gruppo scultoreo, posto alla base del cassero di Porta Lame (1), sui viali di circonvallazione e quindi in posizione ben visibile dalle migliaia di auto e moto che ogni giorno li percorrono, ricordava a tutti una forma di resistenza, quella armata: lasciando pensare, per l’ennesima volta, che quella fosse stata l’unica forma di resistenza. Un messaggio, quindi, solo parziale che certo non aiutava a far conoscere alla popolazione l’esistenza di altre forme di lotta, non armata e nonviolenta, storicamente avvenute. Pertanto, anche al fine di rafforzare l’educazione alla nonviolenza e alla conseguente predisposizione di forme di lotta e di difesa alternative a quella armata, gli estensori della lettera proponevano di installare sull’altro lato del cassero un gruppo scultoreo che, ad esempio, raffigurasse un uomo e una donna che, con le braccia incrociate, potevano rappresentare due operai in sciopero contro la produzione bellica nazifascista (scioperi realmente verificatisi tra il 1944 e il 1945).

La risposta del sindaco fu negativa. Ma, con sorpresa dei pacifisti, nei giorni precedenti la ricorrenza, sui muri di Bologna comparvero questi manifesti, con il loro carico di ambiguità e di contraddizioni. Poteva la pace essere identificata con una bandoliera porta-munizioni per il fucile del partigiano? O anche solo rappresentare la speranza che dalla canna di un fucile potesse sgorgare una pace fondata su verità e giustizia? Poteva, ancora una volta, la donna essere raffigurata in posizione del tutto subalterna all’uomo in quanto di semplice supporto all’azione armata del partigiano?

Nonostante ciò, i pacifisti videro con soddisfazione questa ‘trovata’ del Comune, molto probabilmente provocata da quella lettera.

(1) Qui, il 7 novembre 1944 avvenne una delle più importanti  battaglie tra partigiani e truppe nazifasciste.

Tratto da
"Manifesti raccontano... le molte vie per chiudere con la guerra",
di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Grafiche Futura srl, Trento, novembre 2014, pp. 114-115
Si può avere il libro (€ 20,00 + spese di spedizione) scrivendo a: vittoriopallotti@libero.it

"Nessuno dei mali che si vuole eliminare con la guerra è un male così grande come la guerra stessa".  Bertrand Russell

Il manifesto Pace da tutti i balconi!, del 2003, fa parte della mostra itinerante "Manifesti raccontano... le molte vie per chiudere con la guerra" (34 manifesti), e pubblicato dal CDMPI nel 2014 (Grafiche Futura, Trento) nel volume omonimo, a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, con prefazioni di Peter van Den Dungen e Joyce Apsel.

Questo manifesto ci può ricordare il grande movimento pacifista italiano di inizio secolo, ma ancor più ci proietta nell'attualità di un gesto e la necessità di riaffermare parole e gesti di Pace.
In questo tempo del Covid si parla del virus come del nemico, e il linguaggio dei Media impiega ripetutamente la parola "guerra" e tutta la sua retorica.
Immagini di guerra, con militari in azione di pace, questa volta non all'estero; giornalisti e politici che sentenziano che una guerra è in corso e che non ci sarà un'altra Caporetto, ma solo la vittoria del Piave.
Sono solo alcuni esempi che enunciano, in modo non occulto, e impongono attraverso "il massaggio dei media" (M. McLuhan),  la visione del mondo e della vita che ha come  slogan "La guerra igiene del mondo".
Bologna, dal 2003 al 2020, bandiere di Pace ai balconi

Bisogna contrapporre a questo linguaggio-messaggio un messaggio alternativo, non solo continuando ad esporre bandiere di Pace, ma sollecitando la trasformazione dell'esercito in un sorta di Caschi Bianchi per intervenire nelle diverse situazioni di emergenza.