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Oggi, venerdì 15 maggio 2020, è la Giornata Internazionale per l'Obiezione di Coscienza al Servizio Militare e per l'occasione, con una breve premessa storica, vorrei fare alcune considerazioni.

La legge 23 agosto 2004, n.226 pose le basi per la trasformazione del servizio di leva da obbligatorio a facoltativo. Fino al 1972, anno di approvazione della legge istitutiva del Servizio Civile, il giovane che rifiutava di indossare la divisa veniva processato e incarcerato. Con la nuova legge, lo stesso giovane poteva, stilando una dichiarazione di obiezione di coscienza, svolgere un servizio civile obbligatorio e alternativo a quello militare.

A 32 anni di distanza, nel 2004, con la legge sopra citata sembrò a molti che l'obiezione di coscienza al servizio militare non avesse più ragione di esistere. In realtà così non poteva essere. Infatti, così recitava il titolo della nuova legge: "Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore". Quindi non 'abolizione' ma 'sospensione' del servizio di leva obbligatorio. E, come spesso faceva rilevare padre Angelo Cavagna, se le parole hanno un senso, 'sospensione' significava che il servizio militare obbligatorio può essere ripristinato in qualsiasi momento. Sì, ma in quali casi?

Lo specifica bene la legge del 14 novembre 2000, n.331, che, al comma 1, lettera 'f', dell'art. 2 (titolato "Personale militare da impiegare nella difesa nazionale") così recita "personale da reclutare su base obbligatoria, salvo quanto previsto dalla legge in materia di obiezione di coscienza, nel caso in cui il personale in servizio sia insufficiente e non sia possibile colmare le vacanze di organico mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi:

1) qualora sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'articolo 78 della Costituzione;

2) qualora una grave crisi internazionale nella quale l'Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifichi un aumento della consistenza numerica delle Forze armate".

Se, quindi, così stanno le cose sul piano giuridico, si può ancora pensare che l'obiezione di coscienza al servizio militare sia morta e sepolta? Chi può seriamente pensare che le condizioni previste dal citato art. 2 non abbiano più ragione di verificarsi? E se si verificano: quale significato avrebbe fare, solo in quel momento, una dichiarazione credibile ed efficace di obiezione di coscienza? E quale sarebbe la sorte dell'obiettore che si rifiutasse di imbracciare le armi? Non sarebbe molto più credibile ed efficace farla subito, prima che si verificasse la condizione di guerra?

Negli anni scorsi mi è capitato più volte, in varie occasioni, di intervenire sull'argomento invitando giovani e meno giovani a fare una dichiarazione preventiva di obiezione di coscienza. Ma, non avendo mai avuto riscontri in proposito, credo che ben pochi (per non dire nessuno) abbiano raccolto l'invito. Anche perché nessuna organizzazione (pacifista, antimilitarista o nonviolenta) ha ritenuto di adoperarsi in questo senso con campagne 'ad hoc', analogamente a quanto avvenuto, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, per il lancio delle Campagne di "Obiezione di Coscienza alle Spese Militari" e di "Restituzione del Foglio di congedo militare".

Vittorio Pallotti

Bologna, 15 maggio 2020

Questo manifesto del 1988 è stato realizzato dal Comune di Bologna in occasione del 43° anniversario della liberazione di Bologna.

Domina su tutto la figura di una giovane donna che porta sulla spalla una bandoliera colorata con i colori dell’arcobaleno: gli stessi della bandiera della pace. La figura fa parte di un gruppo di due statue in bronzo, a grandezza naturale, opera post-bellica del famoso scultore bolognese Luciano Minguzzi. L’altra statua, non riportata sul manifesto, rappresenta un giovane uomo partigiano che imbraccia un fucile. La colorazione della bandoliera è un’aggiunta grafica nel manifesto.

Una domanda viene spontanea: perché il Comune di Bologna ha deciso di colorare la bandoliera con i colori dell’arcobaleno? Una risposta ufficiale non esiste. Ne esiste solo una ufficiosa: la seguente. Nei mesi precedenti le celebrazioni del 25 Aprile 1988, alcuni esponenti del pacifismo nonviolento bolognese scrissero una lettera al sindaco di Bologna, Renzo Imbeni. Nella lettera si lamentava il fatto che quel gruppo scultoreo, posto alla base del cassero di Porta Lame (1), sui viali di circonvallazione e quindi in posizione ben visibile dalle migliaia di auto e moto che ogni giorno li percorrono, ricordava a tutti una forma di resistenza, quella armata: lasciando pensare, per l’ennesima volta, che quella fosse stata l’unica forma di resistenza. Un messaggio, quindi, solo parziale che certo non aiutava a far conoscere alla popolazione l’esistenza di altre forme di lotta, non armata e nonviolenta, storicamente avvenute. Pertanto, anche al fine di rafforzare l’educazione alla nonviolenza e alla conseguente predisposizione di forme di lotta e di difesa alternative a quella armata, gli estensori della lettera proponevano di installare sull’altro lato del cassero un gruppo scultoreo che, ad esempio, raffigurasse un uomo e una donna che, con le braccia incrociate, potevano rappresentare due operai in sciopero contro la produzione bellica nazifascista (scioperi realmente verificatisi tra il 1944 e il 1945).

La risposta del sindaco fu negativa. Ma, con sorpresa dei pacifisti, nei giorni precedenti la ricorrenza, sui muri di Bologna comparvero questi manifesti, con il loro carico di ambiguità e di contraddizioni. Poteva la pace essere identificata con una bandoliera porta-munizioni per il fucile del partigiano? O anche solo rappresentare la speranza che dalla canna di un fucile potesse sgorgare una pace fondata su verità e giustizia? Poteva, ancora una volta, la donna essere raffigurata in posizione del tutto subalterna all’uomo in quanto di semplice supporto all’azione armata del partigiano?

Nonostante ciò, i pacifisti videro con soddisfazione questa ‘trovata’ del Comune, molto probabilmente provocata da quella lettera.

(1) Qui, il 7 novembre 1944 avvenne una delle più importanti  battaglie tra partigiani e truppe nazifasciste.

Tratto da
"Manifesti raccontano... le molte vie per chiudere con la guerra",
di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Grafiche Futura srl, Trento, novembre 2014, pp. 114-115
Si può avere il libro (€ 20,00 + spese di spedizione) scrivendo a: vittoriopallotti@libero.it

"Nessuno dei mali che si vuole eliminare con la guerra è un male così grande come la guerra stessa".  Bertrand Russell

Il manifesto Pace da tutti i balconi!, del 2003, fa parte della mostra itinerante "Manifesti raccontano... le molte vie per chiudere con la guerra" (34 manifesti), e pubblicato dal CDMPI nel 2014 (Grafiche Futura, Trento) nel volume omonimo, a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, con prefazioni di Peter van Den Dungen e Joyce Apsel.

Questo manifesto ci può ricordare il grande movimento pacifista italiano di inizio secolo, ma ancor più ci proietta nell'attualità di un gesto e la necessità di riaffermare parole e gesti di Pace.
In questo tempo del Covid si parla del virus come del nemico, e il linguaggio dei Media impiega ripetutamente la parola "guerra" e tutta la sua retorica.
Immagini di guerra, con militari in azione di pace, questa volta non all'estero; giornalisti e politici che sentenziano che una guerra è in corso e che non ci sarà un'altra Caporetto, ma solo la vittoria del Piave.
Sono solo alcuni esempi che enunciano, in modo non occulto, e impongono attraverso "il massaggio dei media" (M. McLuhan),  la visione del mondo e della vita che ha come  slogan "La guerra igiene del mondo".
Bologna, dal 2003 al 2020, bandiere di Pace ai balconi

Bisogna contrapporre a questo linguaggio-messaggio un messaggio alternativo, non solo continuando ad esporre bandiere di Pace, ma sollecitando la trasformazione dell'esercito in un sorta di Caschi Bianchi per intervenire nelle diverse situazioni di emergenza.

Non sto dicendo di aver previsto questa epidemia ma, da diversi anni, dico che con il degrado della nostra biosfera, dobbiamo prepararci alle catastrofi. Edgar Morin

Manifesto senza data, realizzato dai Verdi bolognesi tra febbraio e aprile 2003, quando il virus colpì in Italia ben 4 persone, nessuna delle quali morì.
Manifesto profetico, questo, quando collega, con lo slogan "SARS ? NO SMOG !", due fenomeni che oggi alcuni scienziati ipotizzano che siano strettamente interconnessi nella diffusione del Coronavirus in Italia (e non solo).
Il CDMPI nella sua raccolta di manifesti ha una sezione dedicata a "Ecologia - Pace - Ambiente" che è organizzata nei seguenti argomenti:
  1. Eco-pacifismo
  2. Antinucleare
  3. Ambientalismo - Parchi e riserve
  4. Salute - Benessere - Bioetica
  5. Agricoltura biologica - Eco-consumo
  6. Riciclaggio rifiuti
  7. Architettura - Urbanistica - Economia
  8. Animalismo - Vegetarianismo
  9. Anti-inquinamento - Anti-fumo
  10. Energie alternative - Risparmio energetico
  11. Educazione e cultura ambientale

 

TAGLIARE SUBITO LE SPESE PER LE ARMI

Nel drammatico momento che stiamo vivendo in Italia e nel mondo intero, sentiamo il bisogno umano e civile di levare la nostra voce contro lo scandalo gigantesco delle spese militari, su cui come sempre i più tacciono.

Non dobbiamo tacere. In questo momento come mai è giusto e doveroso chiedere al nostro Governo di tagliare subito le spese per armamenti e destinare quanto risparmiato ai bisogni della sanità e a quelli di chi dovesse perdere il lavoro. 

Si tratta di somme ingenti. E molto cresciute in questi ultimi anni mentre si tagliavano le spese per la sanità. Nel 2018 la spesa militare italiana è stata di 25 miliardi di euro, pari all’1,45 del Pil, in aumento rispetto al 2017 del 4%. Ma sono cifre pazzesche in tutto il mondo, vedi i dati sul sito del Sipri di Stoccolma.

Quella destinata ai soli armamenti nel 2018 è stata di 5,7 miliardi, aumentata di ben l’88% nelle ultime tre legislature, dice lo studioso Francesco Vignarca, secondo il quale “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti sono le nuove navi da guerra della Marina, tra cui una nuova portaerei, nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito, i nuovi aerei da guerra Typhoon e gli F-35”.

In particolare questi ultimi, gli F-35, sono da anni molto contestati dal mondo del pacifismo: una spesa enorme, oltre 50 miliardi di euro complessive, per un aereo con “difetti strutturali” (secondo vari esperti) e comunque un armamento d’attacco e al servizio di strategie d’attacco, in ciò sostanzialmente in chiaro contrasto con il dettato dell’art. 11 della nostra Costituzione. Un “inutile spreco di risorse” denuncia da tempo la campagna “Taglia le ali alle armi”. Quanto sarebbe utile dirottare questi miliardi verso il contrasto al surriscaldamento globale e ai cambiamenti climatici, quindi alla nostra salute?

Non dimentichiamo poi che nelle spese militari italiane ci sono quelle a supporto delle basi americane in Italia (con bombe atomiche) e non ultima c’è pure la spesa per i cappellani militari (circa 200, con un costo di 15 milioni tra stipendi e pensioni).

Un taglio sostanzioso a queste spese potrebbe essere subito deciso da Governo e Parlamento. Non sarebbe razionale oltre che giusto, soprattutto in questo momento?

Si pensi che un solo aereo F-35 costa la bellezza di 130 milioni di euro. Già il Governo Monti nel 2012 aveva ridotto da 131 a 90 gli aerei da comprare, perché non si procede subito almeno con un’altra bella sforbiciata? Quale forza politica si potrebbe opporre in questo drammatico momento? Quante le rianimazioni, quanto altro personale si potrebbero avere con il costo di un solo di questi aerei?

Non bisogna dimenticare poi che in questi ultimi anni la sanità italiana è stata massacrata da tagli lineari enormi: con Monti nel 2012 ci fu un piano di tagli per 25 miliardi in tre anni e la spesa per la sanità fu portata dal 7,1 al 6,7% del Pil; il governo Letta proseguì con un taglio di 2,6 miliardi e coi tagli continuarono il governo Renzi e la ministra Lorenzin. Negli ultimi 10 anni il Servizio sanitario nazionale ha subito un taglio di 37 miliardi di euro, col risultato di migliaia di posti letto in meno (siamo scesi sotto la media europea, 3,5 per 1000 abitanti contro 5), spese per il personale ridotte di 2 miliardi tra il 2010 e il 2018, persi 42,800 posti a tempo indeterminato, deficitaria la prevenzione. E ancora, il raddoppio della quota dei più poveri che rinunciano alle cure e la enorme crescita del divario sanitario tra nord  e sud (con la complicità delle classi dirigenti del sud). Un massacro. Tutto nonostante i ticket, il cui gettito è passato da 1,8 miliardi del 2008 a 3 miliardi nel 2018. Oggi piangono tutti, nel Palazzo, ma ieri?

La crisi del coronavirus impone di ripensare la nostra quotidianità ma anche i nostri stili di vita e i nostri modelli di sviluppo, non c’è dubbio. Perché non anche le priorità di spesa dei governi? 

Ripensare le spese militari è un tassello prioritario del nuovo mondo da immaginare e concepire ove sia finalmente messa al bando la guerra e le spese degli Stati destinate a strumenti di vita anziché a strumenti di morte. Uno Stato lo sta facendo, è il Costarica. E’ possibile, è conveniente. Chiediamolo in molti, chiediamolo tutti.

Raffaele Crocco, Massimiliano Pilati, Francesco Pugliese, Beatrice Taddei, Alex Zanotelli

Rovereto, 11 marzo 2020

Il CDMPI sostiene il disarmo, riceve e pubblica il presente articolo.